Love yourself

di Michela Montaperto


Love yourself first. Teresa girava e rigirava attorno al suo polso il braccialetto su
cui era incisa quella frase. Carola gliel'aveva regalato al suo ultimo compleanno.
Ama te stessa prima di tutto. Quando Teresa l'aveva tirato fuori dalla confezione alla
fine della cena, Carola l'aveva guardata come per cercare un'intesa mentre le sue
labbra accennavano un sorriso complice. Lei si era limitata a ricambiare il sorriso e
aveva mostrato il braccialetto a Gianni. In quella stanza di un antico bordello
restaurato, tra archi e decori arabeggianti e feritoie ai muri che tradivano ancestrali
perversioni legate allo sguardo, Teresa si sentiva nuda senza essere cosciente di cosa
gli altri vedessero in lei. "Ama te stessa", "ti devi amare di più". Tante volte aveva
riflettuto su quella frase. Semanticamente poteva capire cosa significasse, ma perché
non amerebbe se stessa? Cosa vuol dire esattamente? Perché le ragazze, in un modo o
nell'altro, continuavano a ripeterglielo? Qual è il senso di questa espressione e perché
la riguardava? E poi l'ennesimo tradimento di Gianni, e poi l'ennesimo suo perdono
nonostante si fosse detta più volte che quello precedente sarebbe stato l'ultimo.
Aveva urlato, aveva preso le sue cose e se ne era andata da casa, ma dopo due giorni,
ad un suo bisogno, eccola ancora lì ad essere accorsa in suo aiuto. E lì, parlando con
Gianni come se nulla fosse, come in un lampo di luce si guardò indietro e aveva
capito che qualcosa in lei non andava, che qualcosa stava boicottando il suo diritto ad
essere felice. D'un colpo aveva capito che quella forza contraria non veniva
dall'esterno, ma era una forza interiore che stava permettendo tutto quanto. Non le
era bastata l'esperienza di violenza da parte di un suo ex. Ora stava subendo i
tradimenti. Fin dove si sarebbe spinta? Fino a quanto sarebbe stata in grado di
sopportare? E se non avesse trovato un limite a questo, cosa poteva esserne di lei? Se
non altro, quel tradimento aveva avuto il merito di metterla di fronte a se stessa e a
farle trovare il coraggio di lasciarlo.
Teresa continuava a stringere e sfiorare il braccialetto, mentre sentiva i palmi delle
mani inumidirsi. Niente musica agli auricolari, nessuna lettura ad accompagnarla
durante il viaggio di rientro. Fuori del finestrino non scorrevano solo le immagini dei
paesaggi, erano i suoi pensieri che fluivano, velocemente sfilavano davanti a lei uno
dietro l'altro e poteva finalmente osservarli, chiari e limpidi. Tutto iniziava a
quadrare, i tasselli a ricomporsi e un'immagine netta di quello che era stato si andava
definendo. Era così quando si raggiungeva la consapevolezza di qualcosa?
Era stata una bella giornata in compagnia della sua sorellastra. Non era la prima
volta che passavano del tempo insieme da quando i suoi le avevano parlato di
Beatrice diversi anni prima. Era stata Beatrice a cercare suo padre, a volerlo
conoscere. Teresa aveva sempre pensato che fosse stata una fortuna per lei non essere
stata cresciuta da un padre rancoroso, rigido e possessivo. D'altronde, aveva
abbandonato sua madre nel momento in cui aveva saputo che era incinta, troppo
preoccupato del giudizio della gente. Nel tempo lei e Beatrice avevano legato molto
e, anche se non si sentivano spesso, partecipavano una della vita dell'altra. Dopo il
pranzo si erano sedute su una panchina del litorale e per la prima volta quel giorno
cominciarono a parlare di cosa fosse successo realmente allora. Beatrice le raccontò
che sua madre e il padre di Teresa erano molto innamorati, che stavano insieme da
alcuni anni e che avrebbero dovuto sposarsi. Era già tutto programmato. La famiglia
di Beatrice adorava il padre di Teresa ed era sempre ben accolto. Poi sua madre restò
incinta e lui, spinto dalle pressioni della sua famiglia, decise di lasciarla e di non
riconoscere la figlia. Poco tempo dopo, sposò la madre di Teresa. Anni dopo, il padre
di Teresa aveva riconosciuto i suoi errori e aveva chiesto scusa a Beatrice.
Nel pomeriggio, sul treno che la riportava in città, Teresa rifletteva sul senso di
quello che era stato. La sua vita era la conseguenza di una decisione imposta dagli
altri a cui suo padre non aveva avuto il coraggio di opporsi. Non doveva essere quella
con lei e sua madre la sua vita. Quante volte avrà pensato a questo suo padre? Quante
volte il rimorso di quello che aveva fatto era trasudato nel difficile rapporto che aveva
con la moglie e con la figlia. Teresa cominciò a pensare che qualcosa di quel "non
dovevate essere voi" si era fatto strada sotto la sua pelle, nel suo sangue,
impossessandosi del suo corpo e della sua mente. Cominciava a capire che durante
tutta la sua vita aveva sentito come se la sua stessa esistenza non fosse legittimata.
Era questo il motivo per cui tendeva ad agire in punta di piedi per non disturbare, la
ragione per cui desiderava annullarsi, sottrarsi allo sguardo della gente, per non
essere vista, per non essere riconosciuta, per non lasciare un'immagine di sé che
testimoniasse il suo passaggio sulla Terra. Da lì, il suo mettersi sempre da parte,
soffocare le sue esigenze e i suoi desideri, sentire di non poter meritare altro se non
quello che le accadeva. Sentiva affiorare le lacrime agli occhi, mentre una leggera
ebbrezza veniva su facendola sorridere.
Le sedute dalla psicoterapeuta, dopo aver lasciato Gianni, l'avevano aiutata a far
luce su molti aspetti di sé, ma c'era sempre qualcosa che non le tornava, mancava
ancora un pezzo a definire quel suo sentire. E finalmente eccolo l'elemento
chiarificatore. Non era colpa sua, né dava la colpa a suo padre. Le aveva fatto bene
sapere che aveva chiesto perdono per le sue scelte. Questo nuovo grado di
consapevolezza, piuttosto, restituiva un senso al suo sentire. Ora, finalmente, poteva
scoprire quello che teneva dentro, dare una forma e un'espressione a quello che
sentiva nella pancia. Non sapeva ancora cosa fosse, non sapeva cosa potesse
diventare, ma sapeva che amare se stessa significava liberare la strada a quella massa
informe dentro di lei, tirarla fuori, dargli luce e restare a vedere cosa sarebbe
diventata, senza provare vergogna o imbarazzo. Significava ascoltare e seguire i
movimenti del proprio organismo, senza paura delle conseguenze, perché niente e
nessuno aveva il diritto di dirle chi era, che era sbagliata, che così non andava bene.
Un nuovo percorso le si apriva davanti, non ne vedeva la destinazione, ma erano
chiare le indicazioni: aveva tutto il diritto di esistere, di essere libera, libera da
condizionamenti, libera dai giudizi altrui, dallo sguardo altrui, fedele solo alla voce
del suo corpo. Sentì affiorare alla bocca un sapore dolciastro, forse era proprio quello
un assaggio di felicità.

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