Caldo malanimo

di Giannamaria D'Antona

Era una fredda mattina di gennaio quando due volanti dei carabinieri arrivarono nel quartiere di Alfio a sirene spianate. Il sole ancora non era sorto quando i carabinieri fecero incursione nella casa, sorprendendo tutta la famiglia di Alfio in pieno sonno. Fu tutto molto veloce, quattro carabinieri entrarono in maniera irruenta mettendo a soqquadro l'intera abitazione alla ricerca delle sostanze stupefacenti che teneva in custodia a casa per conto del malavitoso del quartiere. Cercarono ovunque, nei cassetti della cucina e tra il pentolame di casa, tra i cassetti di biancheria della moglie e perfino dentro la cassetta del wc dove infine riuscirono a trovare ciò che erano sicuri di trovare. Lo presero senza tanta cortesia, ammanettandolo e portandolo alla volante, lasciando la moglie attonita e sbigottita urlando in preda alla confusione e il bambino piangente sconvolto dai tanti estranei in quello che, secondo il piccolo, doveva essere un luogo sicuro dove mamma e papà si prendevano cura di lui. Fu come una sensazione di déjà-vu per Alfio, fu preso e strappato alla sua famiglia nell'esatto modo in cui si ricordava che era stato preso suo padre, ai tempi.

Una volta arrivati in questura, Alfio fu condotto in sala interrogatori dove il maresciallo chiese chi gli avesse fornito la roba da spacciare e per conto di chi la stesse spacciando. Alfio sapeva bene che non avrebbe potuto tradire la fiducia del suo capo, per due semplici ragioni: primo, l'avrebbero senza dubbio eliminato senza troppe difficoltà, secondo, ci sarebbero state ripercussioni sulla sua famiglia. Sapeva bene a cosa andava incontro quando aveva iniziato a fare quel mestiere e inoltre sapeva bene che qualcuno avrebbe badato anche economicamente a loro in sua assenza, anche se non quanto era necessario. Intuiva che la moglie avrebbe dovuto fare ulteriori sacrifici per poter portare a casa il denaro che avrebbe consentito a lei e al bambino di vivere quanto meno dignitosamente. Aveva fallito come marito e come figura genitoriale, esattamente come aveva fatto il padre prima di lui.

Dopo l'interrogatorio, che risultò alquanto inconcludente per la ricerca di maggiori informazioni, visto le prove a carico di Alfio, fu messo in stato di fermo e condotto presso
l'istituto penitenziario di Piazza Lanza.
Il primo impatto con Piazza Lanza fu davvero traumatico ma, si sa, si comprende il vero valore della libertà solamente quando viene tolta. Dopo aver affrontato la prassi burocratica fu condotto in cella, una squallida stanza di appena 4 metri quadrati dove erano stipate altre tre persone oltre ad un tavolo e due brande a castello. In un cubicolo accanto si trova il bagno. La peggiore cosa che Alfio fu costretto a fare, fu senza dubbio riuscire a vincere la fobia di dovere espletare le sue funzioni fisiologiche davanti ad altri tre estranei che guardavano. Fu davvero orribile, il bagno, se cosi lo si può chiamare, era strettissimo e puzzava di fogna e urina stantia. Se l'igiene personale in carcere era carente quella dei servizi lasciava a dir poco a desiderare. Rimase in piedi davanti alla tazza del wc per qualche secondo cercando di concentrarsi ed escludendo dalla mente le persone e l'igiene del luogo. Alla fine, dopo qualche secondo, che sembro interminabile, riuscì nell'impresa. I giorni seguenti di carcerazione non furono migliori, ma dopo qualche mese subentrarono la rassegnazione e lo sconforto. Ormai era consapevole che la sua vita era definitivamente ed inevitabilmente compromessa, ed essendo maggiorenne avrebbe dovuto pagarne le conseguenze. Alfio realizzò che ciò che aveva fatto per aiutare la sua famiglia si sarebbe per sempre ripercosso su di lui e su di loro.

Durante il soggiorno forzato in istituto, ad Alfio affiorarono alla mente parecchi ricordi della sua fanciullezza. Su tutti i felici momenti trascorsi in casa della nonna. La nonna di Alfio viveva in una umile dimora, sempre nel quartiere. Una casa piccola, ma comunque accogliente dove si sentiva l'affetto della famiglia. Era composta da sole due camere più un bagno, e una piccola veranda dove la nonna cucinava. Le pareti erano di colori sgargianti e solari, che mettevano di buon umore. In soggiorno c'era un logoro ma comodo divano dove lui e la nonna eravano soliti guardare la televisione, anche se il televisore era alquanto piccolo e vecchio. Al lato della stanza vi era un vecchio sparecchia tavola, regalo del suo matrimonio, in legno con la parte superiore in marmo ed uno specchio, carico di ciarpami vari di dubbia eleganza, al centro un tavolo ovale, sempre in legno, con una tovaglia di plastica a fiori, che fungeva da luogo ove consumare i pasti. Sul lato opposto allo sparecchia tavola c'era un altare votivo di Sant'Agata e la foto del defunto marito. Quella era la stanza dove trascorrevano buona parte del tempo, quando eravano in casa.

Il resto del suo tempo il piccolo Alfio lo passava in cortile con i suoi amici felini. La nonna era solita dare gli avanzi dei pasti agli amici felini, sempre grati di un buon pasto e dell'acqua fresca e pulita. Fuori dalla casa che affacciava sul cortile vi erano delle sedie con dei cuscini dove la nonna era solita trascorrere le afose serate estive in cerca di refrigerio.

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