In una notte umida al buio

di Viviana Venezia

Lo teneva stretto al petto, al sicuro tra le sue braccia. Stringeva forte. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di proteggerlo. Correva a più non posso lungo quella stradina stretta, umida, al buio. I ciottoli le impedivano di correre più veloce ed aumentavano il rumore dei suoi tacchi, veloci e possenti. Appena poteva, si riparava nell'atrio di un vecchio edificio, per poi riprendere la sua corsa affannata. Lo scenario, se non fosse stato per l'ansia che l'attanagliava, era incantevole. Questi vecchi palazzi le cui pietre sussurravano racconti di serate ancor più temibili di questa erano adornati da piante cadenti dai balconi e donavano un'atmosfera allo stesso tempo triste e romantica.

Valeria, accostata allo stipite, vagamente nascosta dall'edera che vorticosamente si inerpicava famelica sulla colonna, senza mollare la sua presa guardava indietro, al tratto di strada appena percorso, e studiava come una pantera affamata ogni possibile movimento sospetto. Sapeva di essere stata seguita, ma sapeva anche di avere una via di fuga impeccabile. Chi come lei conosceva meglio le stradine, i vicoli e le trazzere di Erice?
Continuò così a lungo, finché non ebbe la certezza di averli seminati. Si accorse improvvisamente diessere completamente sudata. Ma ciò che le dava più fastidio era quel senso di ansia che le pesava sullo stomaco come un arancino mangiato per ingordigia più che per fame. Sì, proprio così, si sentiva ingorda, ma non propriamente affamata. E tutto ciò le dava fastidio, le impediva di riflettere a mente lucida.
Allentò la presa dal petto, e lentamente lasciò che il libro le cadesse sulle gambe mentre si
accovacciava sul prato umido. Cominciò a respirare profondamente. Cercava conforto negli odori della campagna. Da piccola aveva passato tanto tempo nella vecchia casa della nonna. Amava quei luoghi.
In particolare il rudere vicino la tenuta era stato il suo passatempo preferito, le riservava una scoperta ogni volta, inclusa quella volta che trovò il serpentello nascosto sotto la pietra che incautamente aveva spostato. Ricordava ancora l'adrenalina che si impossessò delle sue snelle gambe di bambina che corsero all'impazzata e la portarono direttamente in cucina da nonna. Gli odori delle verdure selvatiche di campo che nonna ripuliva con tanta grazia e tanta pazienza la calmarono quasi immediatamente. E anche questa sera, seduta lì, assorta nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni, respirava profondamente così che a poco a poco gli odori la calmarono, riportandole un senso di quiete.

Cominciò a studiare la copertina. Gli angoli erano vagamente ingialliti e questo le fece provare un senso di tenerezza come quando osservava i capelli bianchi di nonna. Le dispiaceva non essersi accorta prima dell'ingiallimento. Ora era così, inerme, tra le sue mani, silenzioso, non le aveva mai chiesto nulla, ma sapeva che sarebbe stato sempre pronto a donarle ciò di cui aveva bisogno.
Il passaggio successivo, in fondo, sarebbe stato semplice, pensava. Doveva semplicemente aprirlo, e cominciare a leggerlo. Ma era questo a terrorizzarla. Se davvero era così semplice, perché non lo aveva fatto prima? Perché aspettare tutto questo tempo?
In maniera quasi istintiva cominciò ad accarezzarlo con la mano destra, mentre con la sinistra lo accoglieva come fosse la testa di un bimbo. D'impeto lo portò vicino al viso e lo annusò profondamente.
Le girò la testa, anche se per poco. Eppure quel poco bastò perché la invadesse una sorta di trance.
Sentiva le orecchie chiudersi, le labbra inaridirsi. Non riusciva a guardare altrove se non la copertina. Al centro, poi in alto, poi in basso. Ma il suo sguardo non si posava mai al di fuori di essa. Con gli occhi lucidi e le mani tremanti decise che era quello il momento. Lo aprì. Con un abbaglio improvviso le pagine illuminarono il suo volto. Rimase così, nel silenzio, nell'umido della notte, nel suo groviglio di pensieri, con alle spalle la bella e romantica Erice. Ma nulla accadde dopo. Il silenzio rimase silenzioso.
L'umidità della notte rimase umida. Erice rimase bella e romantica. E cosa si aspettava? Che ne uscisse fuori un lungo tappeto rosso ad accoglierla? Rullo di tamburi, squilli di trombe? Si sentì confusa, non capiva cosa dovesse fare ora. Era sola, nessuno poteva suggerirle il prossimo passo.
Poi la mano destra, in accordo col suo cuore, decise di cominciare a sfiorarlo. Delicatamente le dita scorrevano sulle pagine e più accarezzava e più il libro si ingigantiva. Sembrava di essere in un'avventura di Harry Potter. Il libro continuava a muoversi e ad agitarsi. E si ingrandiva sempre di più, talmente tanto che Valeria decise di saltarci su.

Fu allora che avvenne la magia. Il libro spiegò le sue grandi ali e la portò in un emozionante volo pindarico. Continuarono così, inseguendo le nuvole, salutando le stelle, giocando con gli uccelli che volavano ad alta quota come loro. Valeria aveva finalmente esaudito il suo desiderio, era tornata in simbiosi con la lettura del suo libro. E i sensi di colpa che quella notte l'avevano inseguita, erano scomparsi come non fossero mai esistiti. L'alba inebriava con le sue prime luci, mentre Valeria si accingeva a finire le ultime righe del suo amato romanzo.

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