Irrequieto e smanioso vagavo per la malinconica città di Manuela Mauceri

Irrequieto e smanioso vagavo per la malinconica città, in quell'ora naufragata nel candore umido delle tenebre.
Il freddo del mio cuore ibernato si accompagnava al silenzio della strada, rotto dai miei passi lenti, precisi e senza meta. Lontano, il latrato di canuzzi stenti di strada; qui e lì, qualche occhione felino, che, come lucciole nella notte, mi pareva volessero invitarmi a seguire una via.
In fondo al portico, scorsi una luce. Non so dire esattamente perché, d'improvviso, mutai crociera. Presi quella direzione, attratto come dall'ignoto che viene a noi travolgendoci.
C'era una porta e una vetrina. Passai avanti alla prima e mi piantai dinanzi alla seconda. La brina sul vetro non tardò a comporsi, e, anche se trattenevo il fiato, il calore, intenso e improvviso del mio volto, imbiancò un poco la vetrina di quella che, con ogni probabilità, mi dissi, dev'essere una fabbrica.
Dentro, una donna, meno giovane di quanto i suoi modi di fare schietti e veloci facessero intendere, dedita alla preparazione di 1 torta: 7 strati, differenti sfumature, certo, di cioccolato!
Non erano gli ingredienti, le dosi, la temperatura delle uova, del burro, la qualità della farina, la provenienza del cacao, gli aromi, la consistenza della farcitura, e nemmeno le ciliegine, duci duci, come rubini montati sul gioiello più ambito, era piuttosto il modo in cui, quelle mani agili e corte, quelle braccia sottili e forti, si muovevano a lavorare il tutto.
C'era, alle sue spalle, una lunga teoria di barre di cioccolato, forse da un chilo, tutte uguali, nella forma, nel colore. Sembrava il tesoro bruno rinvenuto nel caveau di una banca lussuriosa. no dei lingotti. La fuga dei suoi movimenti, rapidi, scanditi, saldi, mi colmavano di un'ebbrezza simile a quella che danno le bollicine. Finiva uno strato, prendeva un altro lingotto, seguendo una precisa sequenza, da destra a sinistra. Notai una mancanza, un posto vacante, in quella teoria bruna, come il tasto mancante di un pianoforte a coda, tanto conferiva eleganza, il colore, la forma, l'esatta disposizione di tutto quel cioccolato. Chissà perché quella mancanza...
Sembrava che macchinari e attrezzi intorno avessero l'unico scopo di disvelare i movimenti fluidi di altri uomini e altre donne che, per qualche misteriosa coincidenza, però, avessero inteso lasciare quella donna tutta sola. La sensazione che ne ebbi è che, se solo avessi scorto quella luce in fondo al portico della notte, bianca e umida, qualche istante prima, se solo il mio passo, piuttosto che alla lentezza dei pensieri avesse intrapreso quello del mio cuore battente, avrei trovato la fabbrica brulicante di vita.
Invece, no.
C'era solo lei, dentro.
E io, fuori.
E, semplicemente, ne fui felice.
Non saprei dire quanto tempo rimasi astante lì, dinanzi quella vetrina: forse un'ora, un giorno, forse... e, frattanto, l'aria si tingeva dei suoi profumi, il cielo si saturava di quei colori lussuriosi; la pioggia mi colpiva, il vento mi vacillava e, sopra tutto, il sole, un inedito sole, tutto contenuto nella delizia che mi appariva quella preparazione umana, aumentava la sua morsa alla mia gola.
Aspiravo a pedinarla nei suoi pensieri, che mi parevan di panna, a starle accanto, come in una gita primaverile al mare... in lei non c'era alcun intento seduttivo, ne ero certo: era infanzia pura, purissima!
E montava intanto il desiderio di valicare quello stipite e accedere a quel regno in cui tutto ciò che mi era sempre parsa speranza vana e impossibile, lì, diventava reale, tangibile, sogno combustibile, VITA.
Il sangue cominciava a pulsare nelle vene, le fantasie, a lungo imbrigliate in seduzioni sicure e certe, si facevano burrose.
Così me ne stetti, rapito, come se il prima non fosse mai stato, come se alcun resto avesse mai a venire; non c'era cornice che contenesse, nulla che contasse. Come se tutta la mia vita, fin lì costretta nei vicoli angusti di un'esistenza meschina, altro non fosse stata che lunga prefazione all'accadere di tutto quel presente.
Ovviamente, non provai mai l'ebbrezza di una sua stretta di mano, né potei constatare di persona in che modo i profumi delle leccornie si fondessero con le fragranze della sua pelle, chiara, morbida e stirata come frolla appena appena impastata.
Non varcai mai la soglia.
A un certo punto, si spensero le luci. Per alcuni istanti immaginai che lei continuasse a prendere un lingotto di cioccolato dopo l'altro, a sciogliere, impastare, amalgamare. Invece, un fragore improvviso, poche grida sommesse, una porta sbattuta e poi un'immensa oscurità, un silenzio circolare.
Chiusi gli occhi qualche istante...
Ho sempre avuto la tendenza ad aggiungere o sottrarre, abbondare e addobbare o, invece, economizzare e disadornare, così, adesso, non riesco a ben percepire il diaframma che divide ciò che avrei voluto che fosse e che mi racconto abbia vissuto, da ciò che sia realmente stato.
Mi riebbi e ripresi il cammino notturno.

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