I tarocchi di Madame Xosostris

di Ruggero Anastasio

Lilia avanzava lentamente sul fianco della collina, a capo chino sul sentiero. Ogni zolla
dissestata le dava un senso di pericolo e lei le guardava fisso, ipnotizzata dal loro incrociarsi
con la sua ombra, sopraffatta dai pensieri. Cercava di restare concentrata sul percorso da
fare, ma a restituirla alla realtà erano puntualmente solo le lacrime che le offuscavano gli
angoli della vista, o il trasalire dovuto a uno scricchiolio nella boscaglia.
Il dislivello del terreno la colse di sorpresa, mentre osservava gli alberi aprirsi in una piccola
radura: scivolò malamente e si ritrovò distesa su un lembo di terra nuda. Si accoccolò
gemendo e cercando di non mettersi a singhiozzare, mentre si massaggiava la caviglia: non
aveva preso una storta solo per grazia di Dio. Ma era davvero la grazia di Dio che continuava
a farla avanzare? Mentre respirava le pessime zaffate di zolfo che fumigavano dal monte
adiacente, cominciava a chiedersi se non fosse invece spinta da un'ispirazione luciferina.

Arrancando, arrivò finalmente in vista della sua meta: il Gran Circo di Tauanacu, in verità
un agglomerato di bettole prefabbricate, baracche e roulotte non proprio in aria di
grandiosità, nel senso che la puzza del vulcano adiacente e della presunta zuppa di cavolo
proveniente dal complesso non facevano letteralmente circolare l'aria. Si fermò esitante
davanti all'inferriata che delimitava l'ingresso su una sorta di corte deserta. All'improvviso si
sentì come Puck, il canarino di alcuni suoi amici d'infanzia, che viveva anche lui dietro un
cancelletto di ferro battuto. Che vita quella dei canarini, costretti per la manciata d'anni della
loro esistenza in una gabbia e incapaci di sopravvivere nel mondo esterno una volta
abituatisi alla cattività. L'unica novità delle loro misere carriere arrivava quando un minatore
d'altri tempi li portava in uno scavo - a suo modo una gabbia anche quella, più ampia ma
soffocante - e lì per l'appunto soffocavano, con i polmoncini saturi di metano, avvertendo
così i loro guardiani della presenza di pericolosi gas inodori. Creature fragili, dalla facilissima
morte e dalla vita rinchiusa.
«Non importa» disse Lilia contemplando lo squallore di fronte ai suoi occhi. Deglutì,
attraversò lentamente il varco e il cortile, fino alla casupola ammiccante in fondo, circondata
dai gerani. Guardò di sfuggita il cartello che recitava "Madame Xosostris, a spasso nel
tempo", strinse istintivamente la cinghia della sua borsa e bussò alla porta d'ingresso.

«È aperto» disse una voce rauca dall'interno.
Lilia varcò l'uscio e si guardò attorno. Una signora sovrappeso, dall'età vagamente
collocata in un intervallo compreso fra i 40 e i 70 anni, con corti capelli ricci e grigiastri,
occhialoni da sole a mascherina e svariati strati di scialli colorati la scrutava seduta a un
tavolo di fronte all'ingresso.
«Sapeva del mio arrivo?».
«Ma certo».
«So che glielo chiederanno tutti ma... come fa?».
«Da quando hanno aperto l'autostrada a un chilometro da qui c'è sempre qualche coglione
sperduto che viene a bussare».
«Ah...». Lilia tacque un istante: «Avrei bisogno del suo aiuto».
«È venuta qui per una lettura?».
«Sì, vede... è un momento critico...».
«E va bene, dovevo sacrificare un sedano sull'altarino funebre del mio compagno, ma il
giuramento che ho fatto a Ippocrasto mi impone di dare la precedenza alle paturnie di una
sconosciuta, per lo meno di giovedì... Ed ecco perché il circo apre nei fine settimana,
ragazza. Ma tu mi hai fregato. Metto su il tè».
«No, la prego, niente foglie di tè!» disse Lilia, che dopo i primi minuti in quella casa non
era più tanto sicura che la puzza che si sentiva all'esterno fosse dovuto a zuppa di cavolo.
«Non basterebbero per la mia situazione». Posò la borsa sul tavolo, tirandone fuori un
mazzo di carte. «Mia nonna ha detto che avrebbe capito... le ho portato queste».
«Queste non le uso da tempo, cara», disse la madamona mentre si girava a preparare,
imperterrita, il tè. «Chi è tua nonna?».
Sgranò gli occhi quando Lilia le disse il suo nome. La scrutò con sguardo indagatore: Lilia
ebbe l'impressione di essere la foto di una modella su una rivista, e che quegli occhi
volessero ritagliare la sua sagoma dal fondale, o forse ritagliare qualcosa all'interno della
sua stessa figura.
«La conosceva quindi? La nonna non è mai stata molto chiara al riguardo».
Madame Xosostris le diede le spalle, girandosi verso la teiera ora in ebollizione.
«Eccome», disse con un inaspettato tono gioviale. «Mettiamola così: ci conoscevamo bene,
ben prima che lei si sposasse. È stata lei a insegnarmi certe cose, ma poi ha preferito
abbandonarle. Le carte te le leggerò, in suo onore, ma il tè te lo becchi lo stesso». E si mise
a servirle una tazza fumante con plateale roteazione sciallesca.
Si sedette - Lilia fece lo stesso all'altro capo del tavolo - e cominciò a mescolare
lentamente il mazzo. «Non credo tu sappia a cosa vai incontro» disse con tono severo,
mentre Lilia sorseggiava silenziosamente il tè.
A Lilia quasi andò di traverso la bevanda. «A cosa si riferisce?».
La diversamente giovane non rispose, il suo sguardo penetrante si era fatto assente. Posò
il mazzo e dispose alcune carte sul tavolo, senza nemmeno guardarle.
«Come funziona?», aggiunse la ragazza.
Ma l'unica risposta che ricevette fu un'altra domanda: «Che cosa vedi?».
Lilia guardò le carte. Non le aveva mai volute sfogliare da quando sua nonna gliele aveva
consegnate. Non sapeva bene se per timore di compromettere il loro funzionamento
(qualunque cosa ciò significasse), o di compromettersi lei a guardarle per conto suo. Adesso
era stupita dai loro disegni grossolani e surreali: sembravano vetrate di una chiesa gotica.
«Be', questa qui si chiama... Papessa?... ed è seduta, un'ampia veste a più strati ricopre
lei e il resto della scena» (Lilia lanciò una veloce occhiata alla Madama di fronte a lei e si
rese conto dell'inquietante somiglianza fra la veste e i suoi scialli multi-color), «e mi sembra
piuttosto... vecchia» (cercò di dirlo con tutta la delicatezza che le era possibile).
«Sai su cosa siede?».
«Be', non si vede, è tutto coperto».
«Te lo dico io su cosa siede. Un pentolone chiuso nel quale ribolle una mistura di carni di
capro e serpente, come faceva la Pizia di Delfi. Lei crede che dalla pozione esali lo spirito
chiaroveggente del suo dio: in verità si sta solo costringendo a una lenta scottatura delle
chiappe, ed è questione di tempo prima che tutto le esploda sotto il culo. E sentiamo, cosa
fa la Papessa?».
«Direi che sta leggendo, ha un librone in grembo».
«E cosa legge?».
«Sembra un libro importante... La Verità?».
«Ma lei non sta guardando il libro, vero?».
Lilia guardò meglio. Effettivamente la figura e la scena sembravano disposte ad hoc per
creare una situazione ideale per la lettura. Ma la Papessa aveva la testa voltata verso la
propria destra e non degnava il libro di uno sguardo.
«Ma no... starà solo prendendo una pausa dalla lettura, è chiaro che sta leggendo!» disse
Lilia con tono indispettito, e si spostò a guardare la seconda carta, che sembrava una torre
medievale in procinto di esplodere.
«No, la carta al centro no. La guardiamo per ultima», la fermò subito Xosostris. «Guarda
quest'altra. Cos'è?».
Lilia non sapeva bene cos'avesse davanti. Nella carta vedeva una confusione di sassi,
pezzi di legno, macchie azzurre e bestioline antropomorfe.
«Ehm... non capisco».
«Non capisci? Cosa vedi?».
«Non dovrebbe dirmi cosa ci vede lei? Per me è tutto un guazzabuglio».
«Questa è la Ruota! La Ruota del Destino!» ruggì Madame.
«Perché non riesco a vederla?» rispose Lilia con tono quasi esasperato. Stava ancora
guardando la carta, adesso le pareva che gli assi di legno potessero essere dei raggi, il che
significava che le ammiccanti creaturine che distingueva nel disegno dovevano o abitare in
una ruota o esserne state travolte.
«Perché? "Perché non vuoi vederla?", questo dovresti chiederti!» esclamò la
chiaroveggente. «Guarda: vi sono coloro che la ruota la distinguono molto bene. Stanno al
suo centro, nel perfetto punto di osservazione. Vedono il terreno e le acque che la ruota
percorre, la giostra di luoghi ed eventi che si avvicendano, il bestiario che la abita; tutto si
muove attorno a loro e va in una direzione che possono facilmente indovinare, tutto trova
luogo senza alcun calcolo nella spontanea geometria del cerchione - e solo quando il giro
è finito anche il centro della ruota avanza, conservando un certo senso d'immobilità. Quante
volte devi aver pensato di trovarti in questa posizione! Oh, di quale profondo pozzo invece
questa ruota dev'esserti stata carrucola; quale oscura acqua ti avrà portato, che invece di
abbeverarti ti ha usurato la voce con una noia torbida e muta! Ma rifletti bene: ciascuno ha
il suo destino e la sua ruota, al confine della quale in verità se ne incontrano altre, come in
un ingranaggio, e le creature che vi si avventurano senza saper schivare gli ostacoli
rischiano di restare schiacciate. Ed eccoti qui, spaccata a metà! Una parte al centro della
tua ruota: un'altra al suo limite, dove ti illudi di non fare passi avanti perché stai percorrendo
la ruota stessa, ma in direzione contraria al suo avanzare! Quanta fatica sprecata, quanti
sforzi per incontrare persone che si trascinano da tutt'altra parte!».
Lilia era immobile. Si sentiva come separata dal suo corpo. Nella sua testa, qualcosa
rimbombava, come in lontananza.
«Ragazzina» disse Madame guardandola da vicino. Le aveva preso il volto fra le mani.
Lilia vide il riflesso deformato del suo volto nelle lenti a specchio. «La ruota non ha mai
chiesto di essere messa in moto. Ma una volta che parte, è inutile provare a fermarla. Non
puoi opporti a ciò che è inevitabile».
Un boato fece tremare la stanza, seguito da un altro. E anche la terra, pareva che
tremasse. Lilia si riscosse come da un sogno mentre distingueva fra gli scoppi un rombo
regolare avvicinarsi. Il suo grido si perse nell'agitazione che sembrava aver colto tutto il
mondo. Una parte della catapecchia venne giù, sfondata verso l'esterno, e portò con sé
anche un pezzo di soffitto. Lilia si rese conto di essere a terra, rannicchiata sotto il tavolo.

Dal vuoto del soffitto intravedeva un elicottero calare verso il pendio - fra lei e quello
squarcio si frappose Madame Xosostris, torreggiante e con un sorriso beffardo, stagliata
come una Sfinge contro lo sfondo del cielo.
«DOBBIAMO ANDARE!» le gridò sopra il frastuono.
«COSA? COSA?! MA CHE STA SUCCEDENDO??» cercò di articolare Lilia, mentre il
rumore si faceva sempre più forte. Intorno era il caos. Il tavolo gemeva; le sedie erano
cadute a terra; tazze e stoviglie erano in pezzi; il resto della casupola sembrava sul punto
di saltare via - e già si poteva dire che dove si trovava Madame non ci fosse più casa, ma
solo collina. Madame si limitò a sollevare il braccio piegato e a fare un cenno con il pollice
all'indietro, verso l'elicottero.
Lilia stava per ribattere qualcosa, ma le altre pareti della stanza dalla sua parte vennero
giù, assieme al resto del soffitto: dei frammenti si abbatterono sul tavolo sopra di lei. Strillò,
aggrappandosi convulsamente alle gambe di legno. Due braccia robuste ricoperte di stoffe
multi-color la sollevarono fra mille proteste in quel che restava della stanza, e a quel punto
vide: la cima del vulcano vicino stava eruttando, anzi, sembrava che stesse esplodendo. La
giornata si era fatta più scura all'improvviso: il sole a lato del monte era stato coperto da una
densa nube di fumo. L'elicottero adesso era collocato praticamente sopra di loro: una scala
a pioli era stata calata sulle loro teste.
«Evacuate dalla scala!» si sentì urlare da un megafono.
«NO! È UNA FOLLIA! IO NON VENGO!» urlò Lilia.
«Sbrigatevi! O la nube di fumo ci impedirà la fuga!» riprese la voce metallica dell'elicottero,
mentre un soccorritore cominciava a calarsi dalla scala.
Lilia non capiva se gli occhi le lacrimassero per la disperazione o per la polvere e l'aria che
le pale del velivolo le frustavano addosso. Xosostris la guardò con aria severa: poi,
scuotendosi senza preavviso dalla più totale immobilità, le afferrò le spalle in maniera
repentina e la mise praticamente in braccio all'uomo ormai sceso a terra, che la forzò senza
mezzi termini ad arrampicarsi sui pioli. L'elicottero era basso e in poco tempo furono
entrambi in cima, al suo interno.
Lilia ebbe giusto un istante per osservare l'interno più in ombra dell'elicottero e il suo pilota,
che uno scossone spinse lei e il soccorritore sul pavimento di metallo del velivolo.
Terrorizzata, si aggrappò alla base di un sedile e riuscì ad avvicinare il busto al portello
d'ingresso. Poteva vedere che si erano sollevati ulteriormente rispetto al terreno, per
raddrizzarsi dopo lo sbilanciamento di pochi istanti prima. L'aria era sempre più torbida,
salvo quella sferzata dall'elica, ed era chiaro che il pilota non aveva la minima intenzione di
abbassarsi nuovamente di quota. Madame Xosostris li osservava con le mani sui fianchi dal
basso: con la stessa fluidità con la quale prima era passata dall'immobilità all'afferrare Lilia
di scatto, afferrò con sicurezza l'estremità della scala a pioli. La tirò a sé, indietreggiando di
pochi passi. E proprio mentre l'ultima asse ancora in piedi della casa crollava, distruggendo
un'estremità del tavolo e proiettando ciò che vi era posato verso l'alto e davanti a lei, spiccò
un balzo usando la corda tesa della scala come un elastico da bungee-jumping, piroettando
in un vortice di stoffa che si allargò come una vela e poi restrinse attorno a lei con grazia e
furia; Lilia sbarrò gli occhi mentre, con quella manovra quasi disumana, Madame percorreva
in un lampo i vari metri che le separavano, perdeva spinta poco sotto l'elica rotante, e si
aggrappava con precisione all'ingresso dell'aeromobile. Il soccorritore l'afferrò per non farle
perdere l'equilibrio e chiuse immediatamente il portello alle sue spalle. La vide rassettarsi gli scialli ed estrarne ciò che, gonfiandosi durante il salto, essi avevano catturato dalla nube
di detriti e oggetti vaganti: le carte di sua nonna. «Non c'è nessun altro da soccorrere al
Circo», disse rivolgendosi al pilota.
L'elicottero beccheggiò nuovamente mentre questi si affrettava a dirigerlo lontano dallo
spazio aereo dell'eruzione. Madame Xosostris reagì allo scossone afferrando la mano di
Lilia e sfruttando lo sbilanciamento per atterrare compostamente sul sedile alle proprie
spalle, sollevando nel contempo la ragazza dal pavimento. In lontananza, i boati
continuavano. Il fianco della montagna era ormai sovrastato da una coltre oscura. Il cielo
aveva cambiato colore. La densità della nube, il rombo che da essa proveniva - vista e udito
sembravano illudersi di avere davanti un temporale. Ma una morsa nelle viscere ricordava
che si trattava di uno sconquasso assai più vasto, che oltre a sconvolgere i cieli risaliva dalle
profondità della terra. Poi, con occhi di tutt'altro tipo, Lilia percepì la vastità
incommensurabile, l'incombere minaccioso che ogni nuvola temporalesca porta, il tremore
che aveva sempre percorso i cieli e la terra fin da prima che lei fosse era nata, senza che
lei se ne rendesse mai conto, e che solo adesso aveva afferrato, vedendolo da vicino.
Madame Xosostris la tirò a sé. Lilia si rese conto di avere ancora la mano nella sua. E nella
loro stretta c'era, in effetti, un oggetto estraneo. Liberò la mano e scoprì che vi era stata
posata un'altra carta di cui non riusciva a distinguere il soggetto, perso in un miscuglio di
colori di fango e di roccia.

«Gorgo» disse Madame. Poi proseguì: «Dicono di sigillare i pozzi da cui certi mali
sgorgano e risalgono a tingere di nero le nostre fonti; ma se restano chiusi senza ricevere i
raggi del sole troppo a lungo, ecco che quando vengono riaperti la loro oscurità si è ormai
rafforzata e si propaga anche alla luce, pietrificando le forme nel terrore che sia stato svelato
l'inganno che le teneva in vita. Così, per alcuni popoli, anche un semplice pozzo può fare
da portale d'accesso per la fine.
Anche Gorgone era una semplice ragazza, forse un po' troppo testa calda per i suoi tempi,
ma quando l'ennesima verità scomoda che aveva partorito contrariò gli dei al punto che la
trasformarono in statua, gli abitanti dell'isola nella quale viveva, che erano molto più fifoni di
lei, non ci pensarono due volte a gridare al miracolo e a sbatterla nei sotterranei di un tempio
eretto per l'occasione».
Lilia aveva ancora lo sguardo fisso sulla carta. Cominciava a intravedere un paio di occhi
ciechi, come quelli di un'antica scultura, incisi nello sfondo torbido del disegno. Percepì
l'immobilità del proprio corpo e la costrizione del proprio sguardo, che non riusciva più a
distogliere. Nell'atto stesso di fissare la carta per provare a decifrarla, era caduta in trappola.
«Ma ben presto i concittadini di Gorgone cominciarono a vedere il suo volto riflesso negli
specchi d'acqua, sulle superficie bagnate e perfino nei propri sogni; e non sapevano mai se
li accusasse o li implorasse, perché non era più un volto umano. Quando infine le prime
neonate dal giorno del miracolo vennero al mondo con gli occhi oscuri e vuoti, tutti si
radunarono davanti al tempio. Era una giornata di catastrofi, come questa, e l'ingresso del
tempio crollò. Fu allora che videro che non solo la statua si era spostata - non era più nei
sotterranei, ma li attendeva dietro le rovine dell'ingresso, con la bocca spalancata - ma che
pure i suoi occhi erano senza colore e vuoti. Alcuni pensarono che avesse uno sguardo
triste, e riuscirono ad allontanarsi; ma gli altri scoprirono che non potevano più smettere di
guardarla. Erano pietrificati anche loro.
Coloro che non erano rimasti prigionieri misero uno specchio fra la statua e le sue vittime,
perché queste si ricordassero le proprie forme e vite umane, ma non servì a niente. Allora
trasformarono il tempio in un fondale e sostituirono lo specchio con degli attori. E più
prendeva corpo la finzione sul palco, più riprendevano vita i corpi prima immobili, finché tutti
non si unirono alla danza sulla scena, e non fu più possibile distinguere i primi dagli ultimi.
Fu così che, ancora una volta, il mondo negoziò la propria sopravvivenza. Fu così che
nacque il teatro. Lo stupore, il terrore che paralizza e percorre tutte le cose inanimate, che
vive nella terra e nella natura, che fa sembrare delle cose anche gli uomini e fabbrica oggetti
con le loro ossa... in questo terrore sta il paradosso: per salvarsi dal suo sguardo terribile, è
necessario trovare il modo di guardarlo».

Il terrore. Lilia non aveva pensato ad altro da quando si era recata su quella montagna -
anzi fin da prima. Non lo aveva provato in ogni momento, ma ogni suo movimento, ogni sua
azione le era sembrata lo scatto stridulo e nervoso di un archetto su una corda troppo tesa.
Eppure adesso non riusciva a percepire nemmeno quello, se non nel retrogusto di un brutto
sogno che doveva aver vissuto qualcun'altro. Perché di certo, nel suo corpo paralizzato e
stranamente rilassato, non c'era spazio per nessun sogno.
Madame Xosostris le carezzò la nuca. «Non pensiamoci adesso», disse, e fece passare
la mano dietro l'orecchio della ragazza. Lilia si rese conto che la carta adesso si trovava lì,
apparentemente estratta dalla sua testa come la moneta di un prestigiatore. Poteva
muoversi di nuovo.
Xosostris riaprì uno spiraglio del portello e gettò la carta di fuori. L'elicottero adesso si
trovava sopra il mare, stava sorvolando la zona della costa non troppo lontana dal monte
per completare una lunga manovra che li riportasse sulla terraferma attraverso uno spazio
aereo non offuscato dalle esalazioni vulcaniche.
Il co-pilota che le aveva aiutate prima si girò di scatto. «Ma che fa?» esclamò, urlando
sopra il rumore dell'elica che entrava assordante dal portello nuovamente aperto. «Lo
richiuda sub-».
Non fece in tempo a completare la frase. Sgranò gli occhi mentre vedeva un oggetto
schizzare a tutta velocità verso di loro. Un frammento di magma più denso era stato sospinto
in aria dalla potenza dell'eruzione, solidificandosi in una bomba di lava, che era poi
precipitata verso la parte posteriore del velivolo con la velocità di un missile. Non centrò la
fusoliera, ma riuscì a danneggiare il rotore stabilizzatore di dietro. Tanto bastò perché
l'elicottero cominciasse a girare follemente su sé stesso per qualche secondo, perdendo
sensibilmente quota. Lilia si ritrovò scagliata verso il varco d'ingresso e solo per uno scarto
di pochi centimetri non precipitò fuori. Il rotore riprese a sospingere a scatti, raddrizzando
momentaneamente il mezzo, ma ormai erano su una rotta discendente e non troppo lontani
dall'acqua.
«Di là!» urlò Madame indicando verso un punto che Lilia non riuscì a vedere. «Sarete più
leggeri senza di noi, dovreste farcela!» aggiunse poi, girandosi di scatto verso Lilia. Prima
che lei o i piloti, intenti ad aggiustare per come possibile la rotta, potessero protestare in
qualche modo, prese con una mano l'estremità della scala a pioli che era stata riarrotolata
e fissata al portello, afferrò Lilia con l'altro braccio, e la costrinse a gettarsi assieme a lei dal
mezzo. Lilia non aveva più fiato in corpo; la scala a pioli si distendeva mentre Madame manteneva saldamente la presa sia su di essa che su di lei. Tendendosi, i cavi trasformarono la caduta in un'oscillazione, smorzandola leggermente. Il rotore danneggiato s'inceppò nuovamente e l'aeromobile riprese a roteare. Madame lasciò la presa ed entrambe cominciarono a precipitare verso l'acqua, finché i suoi scialli non cominciarono a gonfiarsi e sollevarsi tutt'intorno, trasformandosi in un surrogato di paracadute sorprendentemente resistente e apparentemente contrario a tutte le leggi del buonsenso.

La caduta fu rallentata quegli istanti che bastarono a Lilia per rendersi conto che non si
erano allontanate poi troppo dalla costa frastagliata ai piedi del vulcano, e che, molto più
vicino, c'era un isolotto in vista. Una folata di vento le sospinse in quella direzione: poi
caddero in acqua e, nonostante l'incredibile salvataggio che Xosostris era stata in grado di
effettuare, l'impatto fu comunque l'equivalente di una decina di padellate su tutto il corpo.
Gemendo e sputando, Lilia si trascinò sull'isolotto, dove Madame si stava già legando i
capelli bagnati. Uno schianto le fece girare entrambe verso l'entroterra, poco più avanti.
L'elicottero aveva continuato la sua corsa quasi fuori controllo, fino a che, come aveva
previsto la cartomante, la sua traiettoria e il suo peso alleggerito l'avevano fatto passare
attraverso le spesse fronte di due alberi, che ne avevano rallentato la caduta, fino a che non
si era incastrato fra dei rami spessissimi e il solidissimo tetto di un antico e glorioso rudere.
I piloti, con aria incredula, avevano appena abbandonato il veicolo, smontando proprio sul
tetto. Lilia lo guardò meglio.
«Ma questo...!».
«È l'ultima carta. La Torre, la Maison Dieu, la casa di Dio», disse Xosostris. «Il tempio»,
completò semplicemente.
«Com'è possibile?» esclamò Lilia, mentre osservava la carta che adesso Madame le
porgeva. Era una costruzione antica che andava in pezzi in un corteo di fulmini, fiamme e
lapilli, che non era ben chiaro se piovessero dall'alto o la scoperchiassero dall'interno. C'era
anche il disegnino di una figura che sembrava osservare la rovina dell'edificio dal suo
interno, intravedibile dall'ingresso divelto dell'edificio.
«È ciò che succede quando qualcosa viene trattenuto troppo a lungo, per poi scoppiare
con brutalità tale da far toccare cielo e terra, squarciandoli per un istante eterno. Non
diversamente da un vulcano. Vieni, è ora che tu la conosca».
«Non se ne parla!».
Xosostris sorrise beffarda e parla prima volta Lilia vide che i contorni della sua figura
sembravano tremolare. «Sai cos'accadrà» disse guardando il vulcano alle spalle della sua
interlocutrice. «La lava presto raggiungerà l'acqua ai piedi del vulcano. Si solidificherà e
genererà una nube tossica e bruciante, in grado di espandersi per chilometri. Noi non siamo
così lontani. L'unico riparo è nei meandri del tempio».
Lilia si voltò all'indietro. Osservò la lava arrivare al mare poco lontano, come aveva
anticipato Madame. Cominciò a indietreggiare inorridita verso l'entroterra, mentre aspettava
di vedere coi propri occhi la formazione dei gas tossici. Tutta l'acqua si tinse di rosa, anche
quella intorno all'isola. Non era lava e non era calda: era soltanto acqua cristallina, illuminata
da decine di riflettori rossi subacquei. Non era nemmeno agitata, e non c'era più aria di
mare.
«Ma questo non ha senso...» disse Lilia, girandosi verso i suoi compagni. L'isola era
deserta. Non c'era nessuno con lei.
Lilia si svegliò di soprassalto. Aveva la testa appoggiata al tavolo della casupola in cima al
monte e si era svegliata perché il braccio le era scivolato dalla sedia. La stanza era deserta
e vi regnavano soltanto il silenzio e la puzza di - almeno così sospettava - un'esalazione
meno innocua di una zuppa di cavolo. Il tavolo malandato, il servizio da tè polveroso davanti
ai suoi occhi, e tutto ciò che la circondava versavano in stato di evidente abbandono. Di
fronte a lei, una sedia a dondolo era posizionata al di sotto di un appendiabiti al quale era
attaccato un vecchio cappotto. Una manica poggiava sul bracciolo della sedia.

Fu solo un istante - ma fu certa di vedere un piccolo movimento provenire dalla sedia,
come se avesse cominciato a dondolare leggermente o, meglio, come se la manica non
fosse affatto vuota e le avesse impresso una spinta. Guardò meglio e si rese conto che la
sedia adesso si muoveva, indiscutibilmente, lentamente, avanti e indietro.
Saltò su, schizzò via dalla porta alle sue spalle e, senza pensare a uccelli, uccellacci e
fragili canarini, corse a perdifiato finché non fu di nuovo fra gli alberi del sentiero.

© 2021 città futura
disegni © Liz Climo
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia