La conchiglia

di Walter Strazzanti

"Finalmente il sole è tornato!". La voce rimbombò così forte tra le mura della casa che tutti i presenti si destarono dal torpore. Era stato un autunno molto piovoso fino ad allora ed il cielo per la maggior parte del tempo era adornato da dense nubi plumbee e minacciose. Tutti gli abitanti di
quel piccolo paesino che si affacciava come un miraggio sulla costa erano concordi nel
considerarlo l'autunno più piovoso a memoria d'uomo.
Quel giorno però, come per miracolo, il sole decise di fare capolino e dall'alba fino al tramonto
illuminò tutti gli angoli del paesino, anche quelli più nascosti. Il primo a scorgere l'oriente fu il
campanile della chiesa e quando intravide dall'orizzonte la grande palla rossa sollevarsi pian piano dal mare, suonò le campane a festa.

Ad udire tutto quello scampanellare inaspettato, gli abitanti del paese si riversarono impauriti per strada e si radunarono nella piazza principale. Quando si resero conto che non vi era alcun pericolo incombente per la loro sicurezza, tutti insieme corsero verso il porticciolo e rivolsero i loro sguardi stupiti e ricolmi di felicità verso quel grande cerchio di fuoco che non erano riusciti a vedere per un lungo periodo di tempo.
Una bambina, sorpresa da tutto quel clamore per un evento che mai avrebbe considerato una
rarità, si allontanò dalla folla e s'incamminò lungo il porticciolo fino ad raggiungere la piccola
spiaggia del paese. Una volta arrivata vide quanto la forza del mare in tempesta era stata in grado
di trascinare fino alla costa. Dal mare risalì di tutto: mucchi di plastica di ogni genere, pannelli
arrugginiti e persino qualche copertone logoro e gettato in acqua da qualche mascalzone.

Ma quel che maggiormente attirò la sua attenzione fu una semplice conchiglia. Ovviamente non era la prima volta che ne vedeva una, ma in quell'occasione ebbe l'impressione di trovarsi dinanzi a qualcosa di diverso, di mai visto prima. L'istinto la portò ad inginocchiarsi e a prenderla tra le mani.
La teneva con grande cura ed attenzione, temendo di poter causare un danno irreparabile se
l'avesse stretta con troppa forza o, ancora peggio, se le fosse caduta dalle sue minute mani. La
girò e rigirò, più e più volte. Ed ogni volta notava un nuovo particolare che provocava in lei una
crescente sensazione di felicità per quell'incontro tanto casuale. Le sue piccole dita percorsero
tutte le asperità presenti sulla conchiglia: alcune le solleticavano le piccole falangi, altre, invece,
quelle più ispide, la fecero sobbalzare per il lieve pizzicore che le provocarono.
D'un tratto decise di appoggiare l'orecchio ad essa, come aveva fatto tante altre volte. Adorava il
suono del mare che miracolosamente vi si sentiva ed ogni volta si chiedeva come fosse possibile
poterlo sentire lì dentro. Una volta accostato l'orecchio lo sentì di nuovo, il mare. Era calmo e si
distingueva chiaramente il rumore delle onde disperdersi sul bagnasciuga.

Ma improvvisamente, al rumore delle onde, si sostituì una voce, dapprima lontana e poco chiara, che poi si fece sempre più nitida e vicina. Era la voce di un uomo con uno strano accento, molto diverso dal suo o da quello degli abitanti del paesino, come se provenisse da un luogo lontanissimo e sconosciuto.
La voce si fermò un attimo, la bambina udì un sospiro, e poi l'uomo riprese a parlare e, quasi tutto
d'un fiato, disse:
Non diventammo invisibili
Quando scomparve il sole e
La notte arrivò
Più buia del solito.
Le vidimo le stelle
Rimanere nascoste
Forse per paura
Di indicarci il cammino.
No, non fu in quella notte
Che diventammo invisibili.
Invisibili lo siamo stati da sempre,
Quando nascemmo in terre lontane,
Quando il destino,
O forse Dio,
Ci fece di un colore diverso,
Quando il sole ci accecava
E ci rubava le forze tornando verso casa,
Quando lottavamo per sfuggire alla morte
Camminando per chilometri
Solo per dissetarci
O per emanciparci dalla schiavitù dell'ignoranza.
No, non siamo diventati invisibili
Ora che siamo in mezzo al mare,
Abbandonati da quel minimo di umanità
Che credevamo esistere ancora.
Siamo nati invisibili e lo siamo sempre stati.
Così come lo furono prima di noi
Milioni e milioni di fratelli e sorelle
Accomunati dal triste fardello
Di trovarci diversi in mezzo alla follia umana,
Vittime dell'assopimento delle coscienze.
L'aria è diversa stanotte,
Non si vede neanche uno spiraglio di luce,
Vaghiamo tra le onde come fantasmi.
Chissà se quando ci sveglieremo
Questo incubo sarà finalmente finito?

A queste parole, la bambina iniziò a piangere e corse a perdifiato verso il porticciolo portando con sé la conchiglia e la storia che essa raccontava. La porse uno alla volta a tutti gli abitanti del
paesino affinché tutti ascoltassero quella storia. Dopo averla ascoltata, ognuno di essi ammutolì e
si chiuse nei propri pensieri. L'ultimo ad ascoltare quel che la conchiglia narrava, fu l'abitante più
anziano che era anche considerato il saggio di quel borgo marinaro. Non appena posò la
conchiglia, si sedette, stanco, e con lo sguardo triste appesantito dalle rughe marcate dal tempo,
nel silenzio dei presenti disse:
"Se la pioggia fosse in grado di lavare via ogni più profondo tormento, allora, probabilmente, in
questo autunno così piovoso, essa ha incontrato i tormenti dell'umanità intera".

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