Fuori dai programmi

di Katia Fundarò


Nel tragitto dal salotto al bagno, con in braccio tutto quel pelo che gli offriva inaspettato calore umano, provò un dolore subdolo come quando il foglio bianco, lama invisibile, ti ferisce la carne. L'acqua scorreva nella vasca, e Scotto aveva oramai compreso cosa gli sarebbe accaduto.
Amava solo l'acqua della spiaggia del Poetto, quella in cui entravano gli altri cani, e lui poteva stare ad osservarli sulla battigia asciutta e morbida, senza doversi bagnare le
zampe. Tanto c'era Frida che pensava a tenergliele fresche.
Gianmarco lo calmò come faceva sempre: sussurrandogli nelle orecchie parole dal suono gentile, che erano entrate nel loro lessico della rassicurazione familiare. Scotto fece
finta di crederci, ma oramai aveva compreso che non ci sarebbe stato scampo a quella fine umida, quindi si lasciò piovere l'acqua dal telefono della vasca, e rilasciò la tensione. Abbassò le orecchie, come faceva quando era soddisfatto per qualcosa, forse compiaciuto per quella purificazione lenta e tiepida. Gli rivolse gli occhietti marroni, che si fermarono su di lui per un lungo momento, poi si accasciò definitivamente appoggiando la testolina al
suo braccio sinistro che lo avvolgeva a partire dall'addome.
Giangiacomo non tentennò: tenne il braccio fermo a sostenere l'amico. Comprese quel singolare addio.
"Giangi, avete finito?"
"Quasi. Il problema è che questo vecchio phone ha deciso di abbandonarci", e lì la voce fu leggermente più instabile.
"Allora accendi la stufetta, lo scaldabagno, gli piace pure. Ritardo un po' nel calare la pasta, non preoccuparti".
Aveva guadagnato del tempo. Pensò che commemorare i morti senza dar voce al proprio narcisismo non era così facile. Il pezzo mancante si piangeva come se il corpo fosse mutilato. Non puoi prendere facilmente le distanze dal tuo stesso corpo.
Accese la rumorosa stufetta, e poi arrotolò il corpicino leggero nell'asciugamano morbido. Si diresse verso la terrazza, passando dall'accesso del loro ufficio adibito allo smart working. Frida non se ne sarebbe accorta. Tirò a sé il grande vaso della cycas, con tutta la forza delle braccia e delle gambe che ancora lo sostenevano. L'avevano acquistata appena prima che il decreto governativo li confinasse in casa, l'avevano chiamata la palma della quarantena. In due mesi non era cresciuta molto, era rimasta nana e con una corona, a dispetto del nome, poco sviluppata. Frida aveva sapientemente insistito per metterla in un vaso molto grande, per dare spazio alle foglie di crescere, tanto lo doveva portare su lui, quel vaso, pensò Giangi allora. Non ci mise molto ad estirpare la piantina con i guanti di pelle che lei aveva lasciato come sempre distrattamente sulla panca. Raccolse il terriccio nel foglio del quotidiano umido abbandonato sul tavolo dalla mattina, fece un buco abbastanza profondo, ma stranamente non sudò per lo sforzo. Raccolse delicatamente Scotto, ancora avvolto nell'asciugamano, stando attento che la testolina rimanesse nella posizione che aveva scelto lui stesso. Lo adagiò dentro il vaso, e lo cosparse col terriccio raccolto, e infine, sovrastò il tutto con la corona della cycas. Si fermò per fissare quel momento, in una lenta liturgia del trapasso fatta di minime accortezze, di sottili odori e profumi notturni, di gesti familiari quando ti trovi in presenza di un amico, e si disse che nuovo distanziamento sociale gli avrebbe negato la sensorialità.

Tornò in bagno, si lavò per bene mani e braccia dai residui di terriccio, e spense quell'aggeggio che aveva suonato la marcia funebre per il suo amico. Trovò a terra un elastico dei capelli di Frida che prima del bagnetto non aveva notato. Lo prese e lo appoggiò nel cestino che li raccoglieva sulla specchiera.
Guardò il suo viso macchiato allo specchio e si disse che da domani avrebbe rasato i capelli che gli erano rimasti. Da domani avrebbe pure buttato la raccolta dei suoi "Programmi quotidiani" e tutte quelle cose inutili che agglutinavano la sua giornata. Aveva ragione Frida, con l'idea di un contapassi, col volerlo spronare, stava vivendo quel contenimento senza che ci fosse un futuro, perché il futuro lo immobilizzava in quanto non si poteva prevedere.
Era stato sorpreso dalla perdita, apparsa fuori dai piani. A volte, fuori dai piani c'è rinascita, il lutto è laboratorio per rinascere, pensò senza convinzione.
Si avvicinò in cucina, mentre lei che si era accorta dei passi, si voltò e stette ferma con una padella in mano e il mestolo in bilico.
"Sta riposando" le disse sottovoce. Lì fece una pausa, e aspirò una lunga boccata d'aria, e aggiunse: "L'ho lasciato tranquillo". La vide piegare la testa in avanti e il mestolo
senza equilibrio, cadde senza far rumore.
"Cosa si mangia allora?" le accarezzò i capelli disordinati
"Cosa vorresti mangiare?"
"Domanda retorica! Da domani comunque vado a correre, mi compro quel contapassi."
"Di cosa stai parlando? Quale contapassi"
"Non so, avevo capito che me lo proponevi, lascia stare, non importa!"
"Allora, propongo che dopo la carbonara, si accenda una candela, e si vada in terrazza"
"Va bene, ma riordiniamo prima, insieme"
"Va bene Giangi"
"Ci portiamo la coperta grande di pail, quella di Scotto, non si sa mai faccia freddo"
"Ma ci sari tu a riscaldarmi, no?"
"Certo"
Frida sorrise, gli occhi liquidi, "Questo ordine, Giangi, mi rende felice".

© 2021 città futura
disegni © Liz Climo
Creato con Webnode
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia