All you can eat

di Grazia Puglisi

Erano giorni che pensava a come poter festeggiare il suo compleanno senza spendere cifre stratosferiche... che soldi non ce n'erano al momento. In realtà non ce n'erano mai stati, ma era giusto una precisazione inutile: non servono tanti soldi per essere felici. E lui lo era. Si sentiva il ragazzo più felice al mondo, stava per compiere cinquant'anni e voleva festeggiare con i suoi più cari amici.
Un ragazzo di cinquant'anni!?! vi starete chiedendo... Proprio così! Lui non aveva mai perduto l'animo trasognato e idealista della giovinezza. E il numero degli anni trascorsi scivolava sulla superficie di tanti bellissimi ricordi fino a finire giù giù, nell'angolo più remoto della memoria. Che per dire la sua età doveva fare calcoli matematici a partire dalla data di nascita.
Ma la questione adesso era la festa di compleanno. Questione importante! E non aveva ancora trovato una soluzione soddisfacente.
"Quando non sai che pesci pigliare smetti di pescare e riposati" gli aveva sempre detto uno dei suoi più saggi amici. Così avrebbe fatto. Era il momento di smettere di pensare sempre allo stesso argomento e andare a fare una passeggiata. Il pomeriggio inoltrato aveva colorato il cielo con pennellate di rosa. L'Etna si ergeva lontana, ma ciò non le impediva di sovrastare la città con la sua maestosa possenza. Le luci delle strade stavano cominciando ad accendersi creando un'atmosfera fiabesca. Era convinto che tra tutta la bellezza di quel momento sarebbe potuta apparire la "fata madrina" che, con un colpo di bacchetta magica, gli avrebbe organizzato la festa di compleanno. E in qualche modo così fu. Da un angolo di una stradina una nuova insegna "All You Can Eat". Ecco! La fata madrina era apparsa nelle sembianze delle luci a intermittenza dell'insegna di quel nuovo ristorante.
La lampadina nella sua scatola cranica si accese: avrebbe invitato lì i suoi amici per il suo compleanno e con poco avrebbe offerto loro pasti luculliani. Perché li conosceva bene: non erano tipi da accontentarsi di una pizza o un secondo e dolce; la maggior parte di loro soddisfaceva alla perfezione il detto "meglio fargli un abito che un pranzo!".
Corse a casa con i pori dilatati dalla felicità. Salì volando sulle scale e chiusosi nella sua stanza cominciò a formulare inviti. Dopo solo un'ora erano tutti belli e spediti.
Il giorno di compleanno arrivò in fretta. In realtà non sembrava fosse trascorso un anno dal compleanno precedente. Lui si sentiva sempre uguale a se stesso da una trentina d'anni a questa parte. Qualche capello in meno, quello sì, e proprio sotto gli angoli della bocca, il suo mento mostrava due chiazzette di barba bianca. Ma lo spirito adolescente non lo aveva mai abbandonato.
Il locale era proprio carino. Luci soffuse e una musica un po' orientale accoglievano gli avventori. Lunghi banconi contenevano piatti da portata pieni di ogni ben di dio. Ci si poteva servire di ogni cosa e tornare a prendere altre pietanze.
Alcuni dei suoi amici erano già arrivati e lo accolsero con schiamazzi e battute di mani, palloncini colorati e fischietti di carta, quelli che se ci soffi dentro si allungano e ti riportano il carnevale.
Quando arrivarono anche gli ultimi amici il grande tavolo era già pieno di cibi vari. Antipasti e diversi tipi di carni si confondevano dentro ai piatti insieme a quadretti di tiramisù e piccoli cestini di panna cotta. Qualcuno stava assaggiando il sushi accompagnandolo agli gnocchi cinesi.
Una baraonda! Lui si fermò un istante ad osservare: risate, bottiglie di vino che animavano parole, forchette che andavano e venivano da bocche voraci come treni nelle gallerie, tintinnio di bicchieri e occhi lucidi di gioia... o forse d'alcool. I suoi amici!... ancora una volta era con loro, e loro erano lì per lui, e questo lo faceva stare bene.
Si accorse che attorno a lui c'erano adesso anche tantissime altre persone, come agli imbarchi degli aeroporti, tutte in un continuo via vai dai loro posti ai lunghi banconi di cibo, per riempire i piatti, ancora e ancora e ancora.
Alzò lo sguardo ai camerieri. Sembravano frenetici nello spostarsi da un tavolo all'altro per togliere ciò che continuamente veniva svuotato.
"Di scor so! Di scor so!". Tuonarono gli amici, battendo cucchiaini sui bicchieri.
In piedi su una sedia abbozzò una frase, l'emozione lo colse in gola, alzò un calice di prosecco e concluse il suo cinquantesimo compleanno con un brindisi.
Quando si avvicinò alla cassa era già pomeriggio. Il titolare, il cui pallore e le profonde occhiaie rendevano evidente lo stato di salute, gli presentò un conto a dir poco modesto. Dalle ampie vetrate si vedeva una lunghissima fila di gente in attesa di poter entrare a consumare.
"Ogni giorno così" biascicò il titolare per nulla felice. "Dall'apertura a notte fonda, tutti i giorni della settimana. Non vivo più che per il lavoro. Divorano tutto, ogni cosa sia stata preparata. Non c'è nulla, nulla che non gli piaccia. Ho ordinato di cucinare i piatti più strani e gli accostamenti più infelici... sono andati a ruba!" la sua voce era adesso incredula e stizzita "Pur di pagare poco mangiano di tutto... TUTTO" urlò. Fu un attimo. Poi si ricompose e il suo sguardo tornò nel vuoto. "Arrivederci signore, grazie" disse meccanicamente.
Uscirono. Ognuno di loro si diresse a casa per riposare, ognuno di loro pensò che sarebbe tornato in quel ristorante.
Giorni dopo, passando da quella strada lui si accorse che i muri dell'edificio sembravano erosi, come se piccole parti fossero state staccate. "Sarà umidità" pensò e continuò il suo percorso.
Qualche settimana dopo, l'articolo di un giornale di città riportò la notizia che il ristorante aveva avuto un successo fuori da ogni aspettativa. Centinaia di clienti ogni giorno erano entrati. I camerieri erano stati costretti a lavorare tantissime ore al giorno senza sosta, e il titolare aveva perso il sonno e la salute. I clienti avevano mangiato tutto il cibo, e non trovandone più avevano cominciato a mangiare pezzetti di arredamento e muri, in segno di protesta.
Il ristorante aveva chiuso.
Lui rimase un po' perplesso dalla notizia. Non avrebbe più potuto andarci con i suoi amici. Peccato! Si sarebbe inventato altro.

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