Come Lisa perse il suo ombrello

di Anna Monosi


Innanzitutto cominciamo col dire che la città è in mezzo al bosco.

Non vicino, nei pressi, sul limitare, accanto. No. Esattamente al centro. Mi rendo conto che è difficile da credere, come lo è per me tentare di spiegarlo, ma vi assicuro che è la pura verità.
Come dicevo, c'è questa città con le case, le strade, i negozi, i monumenti, i mezzi di trasporto, le persone e poi, tutt'intorno, c'è il bosco. Ettari ed ettari di terreno coperti da alberi ad alto fusto come querce, castagni, betulle, e poi arbusti, erbe spontanee, funghi. Un bosco a tutti gli effetti, insomma.
Bisogna precisare che non è stato sempre così. In un tempo lontano questa era una città come tutte le altre: palazzi, negozi, strade che conducevano ad altri palazzi, negozi, strade che erano le altre città e via discorrendo. Ma ad un certo punto, nessuno sa bene il momento esatto, da qualche parte, in un quartiere o in un giardino condominiale, hanno cominciato a crescere gli alberi. E non hanno più smesso.
Un bel momento la città si è trovata al centro esatto di questa enorme, immensa foresta, isolata dal resto del mondo. Questo all'inizio ha comportato una serie di disagi: ad esempio, una domenica mattina il signor Rossi, com'era nel suo pieno diritto di cittadino e lavoratore onesto, decideva di andare a fare una gita fuori porta con tutta la famigliola. Caricava la macchina con l'occorrente per andare al lido vattelappesca, ma, ad un certo punto, l'asfalto diventava difficile
da percorrere e dopo qualche altro metro ci si trovava di fronte il muro verde degli alberi. Non è difficile immaginare quanto la cosa indispettisse il signor Rossi e simili.

Almeno i primi tempi la questione fu giudicata all'unanimità da tutti gli abitanti come una vera e propria seccatura. Ma col passare dei giorni, dei mesi e infine degli anni, nessuno ci fece più caso, e le gite al mare si trasformarono in divertenti picnic nel bosco. È così che è andata, credetemi sulla parola. E alla fine la foresta è diventata talmente fitta e talmente vasta che quelli che sono fuori non ricordano più la città intorno a cui sono cresciuti gli alberi. È scomparsa dalla memoria e dalle carte geografiche. Qualcuno, poi, cominciò a insinuare che in quel bosco abitassero creature mostruose, draghi sputa fuoco e orchi cannibali. Forse per questo nessuno di quelli che erano fuori ha mai messo piede nel bosco. Neppure una volta, per curiosità o per raccogliere i funghi.

Fino al giorno in cui Lisa non perse il suo ombrello. Si trattò di un'incomprensione, è bene specificarlo subito per sottolineare la straordinarietà del fatto, preceduta da una serie di eventi
infausti, cominciati con il barattolo del caffè vuoto a colazione, che avevano segnato la giornata già dalle prime ore del mattino. Un equivoco fatale tra lei e il suo datore di lavoro che le aveva telefonato quella mattina per chiederle espressamente di non presentarsi in ufficio, perché pioveva a dirotto e la povera Lisa non aveva la macchina. Ma Lisa fece appena in tempo a dire pronto e a sentire la voce del signor Santobuono dall'altra parte del telefono: la linea cadde, così, senza un suono, un cenno di preavviso.
Pensò subito ad una disgrazia. Non poteva essere altrimenti se il capo le telefonava di mattina presto. Cos'altro poteva accadere in quel giorno grigio, con quel cielo ammuffito se non una tragedia irreparabile. Si tirò su gli occhiali e si preparò ad uscire.

Fu così che Lisa perse il suo ombrello. Era un ombrello verde, di legno robusto, con l'impugnatura d'osso, e il suo nome scritto a chiare lettere sulla copertura in tessuto. Un artefatto di prim'ordine, come non se ne fanno più. La pioggia, testarda e gelata, cadeva impietosa sul mondo bisognoso di purificazione, ed era accompagnata da raffiche di vento infami che impedivano di vedere a un
centimetro dal proprio naso. E infatti Lisa proprio non la vide. Quella insidiosa depressione della pavimentazione stradale, chiamata volgarmente buca, su cui inciampò indegnamente. E finì per terra altrettanto indegnamente. Ora la giornata non doveva essere poi così sfortunata, deve aver pensato ingenuamente la ragazza, perché un paio di passanti si fermarono per aiutarla a rialzarsi.
Individui angelici che, incuranti della pioggia fitta e gelida, avevano indugiato per soccorrerla. "Vuole che l'accompagni con il mio ombrello?" chiese l'angelo donna, con una premura che la commosse. "No, grazie, ho il mio", rispose sorridendo la ragazza. Ma quando si guardò intorno si accorse che l'ombrello verde era sparito.. E lei era fradicia, mentre i messaggeri celesti la guardavano come si guardano di solito le persone a cui mancano un bel po' di venerdì. Fu così che Lisa perse il suo ombrello.

Lo trovò una bambina l'ombrello di Lisa, in una domenica come tante, mentre faceva un pic nic con la famiglia, una bambina della città in mezzo al bosco. Lo vide prima roteare nell'aria in braccio al vento e poi impigliarsi nei rami di un castagno, infine cadde proprio ai suoi piedi come spinto da un sortilegio. Più che cadere si adagiò, piano per non farsi male. Non ci è dato sapere per quale assurda alchimia l'oggetto fosse finito proprio in quel posto, certo è che alla bambina piacque immediatamente. Trovò adorabile la forma e il colore verde fungo, le sembrò delizioso il nome scritto sul rivestimento in tessuto, perfino il suo odore le provocò uno strano solletico alla pancia che scambiò per felicità. E così la piccola, che aveva le trecce rosse e le lentiggini, corse dal suo papà, diremo il signor Tal dei Tali perché il suo ruolo nella storia è del tutto marginale, e gli disse chiaro e tondo: 'guarda, papà, ho trovato un ombrello volante'.

Il signor tal dei tali rimase sconcertato. Non si erano mai visti ombrelli volare a questo mondo, non nella città in mezzo al bosco, che poi era l'unico mondo che conosceva. Urgeva l'intervento delle autorità, del sindaco inpersona, del prefetto e del questore. Il pic nic si interruppe bruscamente e la famiglia Tal dei Tali si catapultò in macchina per andare a cercare il sindaco, il prefetto e il questore. L'ombrello fu cautamente posizionato dietro al cofano, tra le bottiglie vuote di succo d'arancia e la sdraio ripiegata. Il viaggio in auto non fu privo di emozioni. Mamma e papà tal dei tali erano convinti che doveva sicuramente trattarsi di un evento infausto, il nonno sostenne che durante la guerra aveva visto cose ben peggiori di un ombrello che vola, ma fu immediatamente smentito: non c'era mai stata alcuna guerra da combattere nella città in mezzo al bosco. Il cane abbaiò. La bambina con le trecce pensava che gli ombrelli volanti non possono essere poi tanto cattivi. E continuava a sentire quel solletico alla pancia che le sembrava proprio felicità. Arrivarono sotto casa del sindaco circa quindici minuti dopo. Il signor tal dei tali suonò il campanello con determinazione.

Lisa non fu più la stessa dopo. Non riusciva a capire come la perdita di un oggetto così insignificante potesse farla sentire così triste. In fin dei conti il mondo è pieno di ombrelli migliori del suo. Il signor Santobuono, poi, gliene aveva regalato uno bellissimo, di un rosso acceso e con il bottone di apertura automatica. Aveva perfino fatto incidere il suo nome sul manico, una gran brava persona il signor Santobuono. Nonostante tutto lei si sentiva triste e non si riconosceva più. 'Perché stai male?', le chiedevano gli amici, 'mi sento meno verde', era l'unica risposta che sapeva dare. E tutti si chiedevano perché mai sentirsi verde dovesse essere considerata una cosa di cui andare fieri. Ma poi, verde come? Verde acido? Verde mela? Verde vomito? E la spronavano a non
lasciarsi abbattere da queste sciocchezze, che la vita è bella, capita a tutti di essere derubati e bla, bla, bla...Ma a Lisa non seccava affatto di essere stata derubata. Se le avessero preso il portafogli sarebbe di certo stato meglio, ma il suo ombrello proprio no, non poteva accettarlo. Aveva come la sensazione di aver perso un'occasione. Era una gran sciocchezza perché quell'ombrello non le era servito a nient'altro se non a ripararsi dalla pioggia, per anni e anni. Solo
quello. Praticamente quello che fanno tutti gli ombrelli. Ma quel vuoto nella pancia non se ne andava via, quel buco nero che ingoia tutto e che le sembrava proprio infelicità. E come se non bastasse quella era una domenica di pioggia, una domenica in cui sarebbe comunque uscita a prendere un cappuccino al bar sotto casa e a leggere il giornale. L'avrebbe fatto, se solo avesse avuto il suo ombrello a disposizione. Il suo, non quello che le aveva regalato il signor Santobuono. Che brava persona che era! 'Animo, animo, Lisa' le diceva tutte le volte che la scopriva a piangere in ufficio. E le faceva un gran sorriso che gli riempiva tutta la faccia. Anche lei gli sorrideva, per farlo contento. Ma non era più la stessa.

Sotto casa del sindaco si era radunata una piccola folla di curiosi, mentre il signor Tal dei Tali mostrava al primo cittadino l'oggetto incriminato: 'Caro signor sindaco, mi duole informarla che nella nostra rispettabile città gli ombrelli si sono messi a volare', affermò l'uomo con voce ferma. Ci fu un brusio di sgomento. 'Ma che scandalo è mai questo!', disse Tizia, 'Che disordine morale', rispose Caio, 'la fine dei tempi!' sentenziò Sempronio. Il sindaco prese solennemente la parola: 'miei amati cittadini, cerchiamo di mantenere la calma e di non giungere a conclusioni affrettate. Signor Tal dei Tali, vuol spiegare a tutti noi come si sono svolti i fatti?'. E il signor Tal dei Tali raccontò per filo e per segno di come quell'aggeggio maledetto avesse rovinato la gita domenicale della sua famiglia. E fu chiamata in causa anche la bambina che testimoniò con quanto garbo l'ombrello si fosse adagiato ai suoi piedi dopo aver volato a lungo nel cielo. Nel frattempo la folla era aumentata. Era arrivato il carabiniere Mario e il vigile Piero, la signora Giannantonia, fondatrice e presidentessa di vari circoli e comitati di beneficienza, fu subito avvisata da alcune madri allarmate e arrivò con la maschera della tragedia già appiccicata sul viso. E parlarono tutti. A voce alta, uno dopo l'altro e poi uno sopra l'altro.

E la sentenza fu unanime: l'ombrello doveva essere distrutto.
Nessuno aveva dubbi che fosse la decisione più saggia. Poteva essere qualcosa di infettivo, un bacillo che colpisce gli ombrelli. Si rischiava un'epidemia di ombrelli volanti. E cosa sarebbe potuto succedere alle persone! La presidentessa Giannantonia svenne e una madre allarmata corse a prendere i sali.
Una sola voce si alzò contraria: 'ma l'ombrello è di Lisa', disse piano piano la bambina con le trecce e le lentiggini, 'non appartiene a nessun altro'. La folla guardò prima lei e poi il carabiniere Mario che, in quanto tutore della legge, poteva legittimamente venire interpellato. 'Certo, se ha un proprietario dovremmo cercarlo prima di prendere qualsiasi decisione', affermò timidamente Mario. Ma la presidentessa, ripresasi dallo svenimento, fece una sacrosanta obiezione: nessuna donna in quella città si chiamava Lisa, quell'ombrello non era di nessuno. Per correttezza, e non per mancanza di fiducia verso l'illustre cittadina Giannantonia, furono controllati i registri dell'anagrafe, furono ispezionati con cura più e più volte. Nessuno aveva quel nome. Niente Lise, Elise, Isabelle o simili. Ma la bambina parlò ancora, sempre piano piano: 'forse, allora, dovremmo cercarla fuori!'.
Ci fu un lunghissimo momento di silenzio. Tanto lungo che alla bambina sembrò non finire mai. E capì che le persone erano diventate tristi all'improvviso. Una tristezza profonda, buia e fredda come un pozzo. E le venne da piangere, ma si trattenne. Intanto il vento soffiava.


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